Tra
favola e realtà:
La Fata Morgana
"Ruggero il Normanno invitato dai messinesi a rompere
gli indugi e venire a liberare Messina e la Sicilia dalla dominazione musulmana,
un giorno passeggiava solitario su una spiaggia della Calabria e, rimirando la
costa siciliana studiava come aver ragione degli arabi che sapeva ben agguerriti
e numerosi, mentre al suo servizio poteva contare solo su uno sparuto nucleo di
cavalieri e navi. Era così intento a meditare, quando gli parve di udire
una marziale musica di guerra, intramezzata di lamenti e sospiri di schiavi, da
imprecazioni pagane e il tutto circonfuso da un meraviglioso odore di zagare in
fiore. Lì, nei pressi, sostava un eremita e a lui Ruggero si rivolse per
chiedere notizie di quel fatto così misterioso. L'eremita allungò il braccio e
gli indicò la costa siciliana.
"Lì, gli aranci sono in fiore, lì c'è musica e lamenti
perché lì ballano i saraceni e piangono i cristiani in schiavitù!" Ruggero il
normanno rimase silenzioso... d'un tratto, il mare ribollì. Un cerchio di spuma
apparve alla superficie e da essa sporse la testa una bellissima fata, la Fata
Morgana che... sul fondo del mare ha il suo più bello e antico palazzo... "Che
pensi, oh Ruggero? -gli gridò Morgana- Salta sul mio cocchio ed in breve ti
porterò in Sicilia! "Ma il conte le rispose: "Grazie Morgana. Ma io vado alla
guerra sul mio cavallo e con le mie navi e non sopra il tuo cocchio fatato..."
Allora la fata agitò tre volte la sua verga magica nell'aria e in acqua lanciò
tre sassi bianchi. In quel punto, magicamente, sorsero subito case e palazzi,
strade e ville, e meravigliosamente tutta la Sicilia apparve così vicina da
poter essere toccata con le mani. Guarda la mia potenza! - disse ancora la fata
- Eccoti la Sicilia! Sali sul mio cocchio ed io ti porterò colà". Ruggero
però rifiutò ancora una volta. "Non con l'inganno io libererò la Sicilia dal
paganesimo. Essa me la dara' Cristo Nostro Signore..." Al nome santo di Cristo la
fata agitò ancora la sua bacchetta magica nell'aria e i castelli, le strade e le
ville di prima sparirono di colpo, mentre lei stessa svaniva lestamente assieme
al suo cocchio fatato e ai cavalli bianchi azzurro criniti".
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IL FENOMENO
DELLA
FATA MORGANA
In alcuni giorni tersi di
una limpidezza straordinaria
la costa calabra sembra tanto vicina
che le case, le strade e le persone
si possono
quasi toccare con
le mani... Gli oggetti appaiono come
sospesi in aria, con dimensioni e
forme mutevoli: il fenomeno è dovuto
alle variazioni della densità
dell'aria prodotta da elevati
gradienti di temperatura in
vicinanza del suolo e alla
conseguente variazione dell'indice
di rifrazione. |
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Una grave carestia nel 1603 affliggeva il popolo messinese,
malattie e desolazione flagellavano la città, la mancanza di cibo rendeva la
situazione drammatica, senza possibilità di soluzione. Il Senato messinese decise di bloccare tutte le navi che transitavano nello Stretto allo
scopo di dirottare a Messina quelle cariche di derrate alimentari. Il capitano di una grande nave che trasportava grano ebbe
sentore di questa grave carestia che affliggeva Messina così, per evitare il
sequestro, decise all'ultimo di invertire la rotta ma una tempesta glielo
impedì e, per evitare il naufragio nei gorghi di Scilla e Cariddi, dovette
riparare nel Porto di Messina. La popolazione si ritrovò miracolosamente un carico cospicuo
di grano che permise di risolvere in massima parte la grave carestia che
l'affliggeva.
La fantasia popolare ha poi arricchito di particolari questi
fatti: l'intervento divino, infatti, ha permesso la salvezza del popolo
messinese. |
Per ricordare l'evento,
ogni anno,
nel giorno del Corpus Domini, viene portato in processione un Vascelluzzo
d'argento, addobbato di spighe di grano, finemente cesellato dai
F.lli Juvara nel 1698, conservato nella Chiesa dei Marinai. |
Ancora oggi, attraversando lo Stretto di Messina con la nave
traghetto, non si può fare a meno di pensare a Ulisse e a tutte le difficoltà
che dovette affrontare per poter ritornare a Itaca. La maga Circe lo aveva
avvertito dei pericoli che lo attendevano al passaggio tra gli scogli e i
vortici dei paurosi mostri Scilla e Cariddi. Sullo sfondo dello Stretto di Messina
il calco ricostruttivo del gruppo di Scilla rinvenuto nella grotta della
Villa di Tiberio a Sperlonga in provincia di Latina e ricostruito da 7000 frammenti.
SCILLA, la mostruosa figlia di Ecate, legata
all'oltretomba e alla luna, attendeva Ulisse e i suoi compagni sulla costa
calabra con ululati disumani, emergendo dal mare simile a una gigantesca piovra
con sei colli, dodici braccia e una bocca serrata dai denti, mentre
CARIDDI
si celava in una grotta della costa messinese, all'altezza dell'odierno rione di
Ganzirri e minacciava i navigatori gorgogliando e creando mulinelli per
inghiottire le imbarcazioni di passaggio. Molti compagni di Ulisse vennero
trascinati negli abissi e divorati nei gorghi di Cariddi, l'eroe, però, riusci
ad approdare sulla "Terra del Sole" nelle vicinanze di Taormina dove
pascolavano le greggi del dio Elio. Qui, alle falde dell'Etna, Ulisse per
sfamarsi infranse un terribile tabù facendo macellare un gran numero di buoi
sacri al dio. La collera degli dei si abbatté su Ulisse che dovette nuovamente
sfidare il mare tumultuoso tra Scilla e Cariddi; questa volta nessun uomo
sopravvisse, ad eccezione dell'eroe omerico che naufrago, aggrappato ai legni
spezzati dell'imbarcazione sarà sospinto verso l'isola di Calipso. |
SCILLA E CARIDDI
Secolo
I - 4-26 d.C.
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Il Carrettino Siciliano
Gli addobbi, le
decorazioni e i colori smaglianti insieme alle
illustrazioni, che sono riferite a imprese leggendarie e
storiche, dai paladini di Francia alla spedizione dei Mille,
fanno del "carretto siciliano" il souvenir più
caratteristico e ricercato del folclore isolano... un misto
di arte, leggenda e storia.
ha proclamato
il Teatro dei Pupi Siciliani "Capolavoro del
Patrimonio Orale e Immateriale dell'Umanità", questo
grande riconoscimento è stato assegnato a poche altre
espressioni culturali e tradizionali in tutto il mondo.
Comunicato stampa n.40/2001
L'Organizzazione delle
Nazioni Unite per l'istruzione, la scienza e la cultura,
finalmente ha voluto dare un riconoscimento non a statue, a
monumenti o a siti storici, ma a creazioni culturali e tradizioni.
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I CANTERINI PELORITANI
Una esibizione folcloristica con i ballerini nel tipico
costume siciliano nella Piazza IX Aprile a Taormina
I Canterini Peloritani, gruppo folcloristico
di spicco, vantano rappresentazioni in tutto il mondo, dagli Stati Uniti all'Africa,
dall'America del Sud all'Asia, dall'Europa all'Oceania e costituiscono l'autentico fiore
all'occhiello del folclore messinese.
Il Gruppo è affiliato dal 1971 alla
Federazione Italiana Tradizioni Popolari.
Nei mesi di Luglio e Agosto il Gruppo organizza
il "Gala Internazionale del Folklore" con la collaborazione
dell'assessorato regionale Beni Culturali e del Ministero dell'Istruzione,
dell'Università e della Ricerca, dell'Amministrazione comunale, della Provincia
e dell'Azienda autonoma provinciale incremento turistico di Messina, la
collaborazione della Federazione Tradizioni Popolari, dell'Unione Internazionale
delle Federazioni dei Gruppi Folcloristici europee, della Fenalc di Roma,
Iov-Unesco di Vienna e della Fiera Campionaria Internazionale di Messina. |
LE DUE EROINE MESSINESI DINA E CLARENZA
suonano le campane
Otto agosto 1282: una data memorabile
per Messina che con la sommossa popolare dei Vespri, insieme a Palermo e alle
altre città federate, riuscì a liberarsi dalla tirannia degli angioini
espellendo i francesi dopo una furiosa battaglia sul Colle della Caperrina.
Il lungo assedio da parte delle truppe di
Carlo D'Angiò aveva messo a dura prova l'eroica resistenza dei messinesi che
erano ormai allo
stremo delle forze.
Anche le donne parteciparono alla battaglia e, tra queste,
si distinsero per il loro coraggio due eroine messinesi
DINA E CLARENZA.
Durante la notte, mentre gli uomini
riposavano perché stremati dal lungo assedio, le donne vegliavano. Gli angioni
sferrarono un ultimo decisivo attacco pensando di far breccia nella parte più
debole, perché danneggiata, dello schieramento dei rivoltosi. Con grosse pietre le donne riuscirono a
frenare l'avanzata, Dina e Clarenza suonarono le campane e fecero accorrere
Alaimo che con le sue truppe cittadine riuscì a respingere gli assalitori.
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La
Leggenda di Colapesce
Colapesce
è un nuotatore molto esperto "da recar meraviglia ai posteri"
Renato
Guttuso - La
Leggenda di Colapesce
(volta
affrescata del Teatro Vittorio Emanuele II)
Lasciata
fin da bambino "la compagnia degli uomini", visse in mare tra
giardini di corallo, conobbe le ninfe e seguì le sirene che lo sedussero
con il loro canto e fu "tenuto in molto pregio in Messina per la rara maniera del suo
vivere" e, per questo motivo, i messinesi lo chiamarono
Cola Pesce.
Avvenne allora che il re Federico II, avendo ricevuto notizie delle
strabilianti imprese di Cola, lo volle mettere alla prova promettendogli
grandi doni e la mano della principessa sua figlia qualora avesse superato
tre difficili prove. Il re Federico, dal Palazzo Reale, gettò una prima
volta, nel tratto di mare sottostante, un vaso d'oro e incitò Cola Pesce
a ripescarlo. Il valoroso pescatore, dopo essersi tuffato nelle
profondità del mare riaffiorò con grande abilità, riportando al re il
vaso d'oro lanciato una prima e una seconda volta.
Al
terzo tentativo, che era quello decisivo (gli avrebbe, infatti, consentito
di avere in premio la mano della principessa...), Cola Pesce rimase in
fondo al mare e non riapparve più in superficie. In realtà egli non era
morto ma successe che, giunto in fondo al mare, egli si accorgesse che una
delle tre colonne, quella settentrionale della Sicilia, la colonna Pelòro
fosse incrinata e che stava per spezzarsi con la conseguenza che la sua
Messina potesse sprofondare da un momento all'altro. Fu così che decise
di rimanere in fondo al mare, rinunciando alla ricchezza e all'amore, per
sostenere sulle sue spalle la colonna di Capo Pelòro. Bisogna sapere che
quando avvengono le scosse telluriche nell'area dello Stretto si tratta
semplicemente che... "Colapesce poverino, stanco di
sorreggere sempre sulla stessa spalla la colonna di Capo Peloro la passa
sull'altra spalla e cio' causa movimento..." così la credenza popolare.
Il significato di questa leggenda ci riporta alla forte sismicita della
zona.
LE SECOLARI "VARETTE" TRA
FASCINO E PASSIONE
di
Roberta Cortese
L'ultima cena - La
flagellazione - La Veronica - Il Cireneo - L'Addolorata
Gesù nell'orto - L'Ecce
Homo - La Caduta - La Crocifissione - La Deposizione - Il Sepolcro
Da quattrocento anni le "Varette"
rappresentano il simbolo più forte della Pasqua. Hanno subito, come
l'intera città, le devastanti conseguenze dei terremoti e della guerra
ma, tranne che per brevi interruzioni, non hanno mai smesso, nel giorno
del Venerdì Santo, di raccogliere migliaia di fedeli messinesi e tanta
altra gente richiamata da fuori dal fascino dell'evento.
I gruppi scultorei
raffiguranti la Passione di Gesu' Cristo, ogni anno compiono un
miracolo, al pari di un'altra imponente processione, la Vara del 15
agosto: quello di far emergere prepotentemente quella messinesità che
sembra essere stata persa. Le "Varette", come di consueto, sostenute da
250 portatori, lasciano la Chiesa "Nobili Arciconfraternite di Ns. Dama
della Pietà degli Azzurri e della Pace dei Bianchi", meglio conosciuta
come Nuovo Oratorio della Pace, e si muovono tra una moltitudine
impressionante di fedeli. La partenza è sempre preceduta dal momento di
preghiera guidato dal cerimoniere della Confraternita del SS.
Crocifisso.
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Il percorso di solito interessa la Via XXIV Maggio con il passaggio davanti al Monastero di Montevergine in
omaggio a Santa Eustochia Smeralda Calafato, si prosegue per la Via
Martinez e quindi per il Corso Cavour, Via Tommaso Cannizzaro, Via
Garibaldi, Via I Settembre e, da qui, in Piazza del Duomo, fino al
rientro con la caratteristica corsa "anchianata di Varetti" di Via
Oratorio San Francesco e Via XXIV Maggio.
E' certamente la sosta
davanti al Monastero di Montevergine uno dei momenti più emozionanti,
con le clarisse affacciate a salutare le sculture applaudendo e gettando
petali di rosa e, non di meno, la suggestione della Messina di un tempo
con il corteo che raggiunge e si ferma davanti allo splendido Monte di
Pietà.
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In corteo presenti i
tamburini di Motta Santa Anastasia con gli storici tamburi della
famiglia Ballarò, davanti al fercolo dell'Addolorata sfilano le "Biancuzze"
le ragazze dell'antico istituto benefico gestito dall'Arciconfraternita
della Pace dei Bianchi. A chiudere il corteo le confraternite
provenienti dalla Cattedrale, le confraternite cittadine, l'Arcivescovo
e il reliquiario della Santa Croce portato da un canonico del
Protometropolitano Capitolo della Cattedrale sotto un baldacchino
sorretto dai confrati dell'Arciconfraternita di San Basilio degli
Azzurri e della Pace dei Bianchi.
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