Giuseppe La Farina nacque a Messina nel
1815, si laureò in legge nel 1835, fu redattore dello Spettatore Zancleo e
partecipò al movimento insurrezionale antiborbonico del 1837.
Più volte, per le sue idee, fu costretto
all'esilio prima in Toscana a Firenze, poi a Roma. Tornato a Messina nel
1838 grazie ad un'amnistia dovette ripartire nel 1841, si stabilì a Firenze
dove pubblicò numerose opere storiche e di orientamento neo ghibellino: l'Italia
nei suoi monumenti, ricordanze e costumi - 1842; Studi storici del sec. XIII -
1842; Storia d'Italia narrata dal popolo italiano - 1846.
Diresse il quotidiano democratico l'Alba
nel 1847-1848. Fece ritorno in Sicilia nel 1848 dopo lo scoppio della
rivoluzione del 12 gennaio, fu eletto deputato alla camera, andò in missione
diplomatica al campo di Carlo Alberto a Valeggio sul Mincio, fu ministro
dell'istruzione e dei lavori pubblici (1848) poi della guerra e marina del
governo siciliano (1849).
Dopo la repressione della rivoluzione
siciliana fu esule a Marsiglia e a Parigi, lavorò alla Storia d'Italia dal
1815 al 1850 (Torino 1851-1852). Abbandonò gradatamente le sue idee
repubblicane, si stabilì a Torino dove diresse la Rivista contemporanea e,
decisamente, si schierò su posizioni filopiemontesi (ahi!), partecipò nel 1856
con D. Manin e G. Pallavicino alla fondazione della Società nazionale di cui fu
segretario, e contribuì a orientare verso il Piemonte di Cavour l'opinione pubblica moderata che non condivideva più i metodi insurrezionali
mazziniani.
Nel 1860 appoggiò la spedizione di
Garibaldi nel Mezzogiorno e ricevette l'incarico da parte di Cavour di cercare
di spingere la Sicilia all'unione
con il Piemonte (?) (ahi...quanti dolori!)
I piemontesi si rivelarono ben
presto peggiori dei predecessori, l’erario molto esoso rimpinguava le casse
sabaude impoverendo una popolazione allo stremo delle forze, ogni tentativo di
protesta veniva soffocato barbaramente, divenne insostenibile anche poter
sopravvivere, la povertà e la miseria ormai attanagliavano la Sicilia e
l’emigrazione era divenuta ormai l’unica ancora di salvezza per condizioni
di vita più decorose, consone ad un popolo che per millenni aveva conosciuto e
fatto sue le civiltà più progredite.
Giuseppe La Farina, fu deputato nella
settima e ottava legislatura e partecipò ai lavori del Consiglio di Stato dove
era entrato nel 1860.
Morì a Torino nel 1863. Il suo interessante Epistolario fu pubblicato nel
1869. |